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Settembre 16, 2024

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Referendum contro l’Autonomia differenziata: grande successo per l’avvio della raccolta firme, ora possibile anche online. Prosegue il dibattito sull’ammissibilità del quesito

Referendum contro l’Autonomia differenziata: grande successo per l’avvio della raccolta firme, ora possibile anche online. Prosegue il dibattito sull’ammissibilità del quesito

Alla fine di luglio è partita in tutta Italia la campagna di raccolta firme per il Referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata. Lo scorso 5 luglio il comitato promotore composto da partiti, associazioni, sindacati, ha depositato presso la Corte di Cassazione il quesito che si vuole sottoporre al voto: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?».

Dover avviare la macchina per raccogliere le 500.000 firme necessarie al deposito della proposta referendaria in pieno periodo estivo sembrava impresa ardua, ma le file che si sono viste davanti ai banchetti hanno da subito lasciato trasparire una grande attenzione verso questa iniziativa, con una mobilitazione popolare davvero straordinaria. Inoltre, dal 26 luglio è stata attivata anche la piattaforma pubblica e gratuita che consente di aderire anche online con SPID, CIE o CNS (raggiungibile al link https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/500020).

A conferma di una partenza che ha superato le più rosee aspettative, basti pensare che a meno di un mese dall’avvio di questa nuova opportunità, oltre 500.000 cittadini hanno apposto la loro firma certificata usando il portale predisposto dal Ministero della Giustizia. A queste, ovviamente, si andranno poi a sommare quelle raccolte sui moduli cartacei; motivo per cui i rappresentanti del comitato promotore hanno potuto annunciare di aver già raggiunto il numero di sottoscrizioni necessarie alla richiesta.

Certo, ben altra mobilitazione si renderà necessaria per validare l’eventuale Referendum con la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto, cioè circa 26 milioni di elettori, considerato che da tempo si va registrando un crescente aumento della disaffezione alle urne. Ma intanto questa calorosa risposta non era per nulla scontata e la storia referendaria insegna che quando le tematiche sono avvertite così sensibili nessun risultato è precluso.

Depositate le sottoscrizioni in Cassazione entro il 30 settembre, il primo scoglio da superare sarà il giudizio di ammissibilità del quesito che la Corte costituzionale dovrà stabilire con sentenza entro il 10 febbraio 2025.

Su questo ultimo tema risulta alquanto difficile tracciare un quadro di certezze, poiché ci si muove entro limiti molto labili e con una giurisprudenza che negli anni è approdata a conclusioni differenti.

Si sente sostenere che il Referendum non sarebbe ammissibile poiché siamo in presenza di una legge necessaria e collegata al bilancio. Posta in premessa l’imprevedibilità degli orientamenti assunti negli anni dai giudici costituzionali, entrambe le obiezioni mi appaiono deboli.

Innanzitutto, la legge Calderoli è una normativa procedurale voluta dal legislatore, non obbligatoria e non richiesta dalla Costituzione per l’attuazione dell’art. 116 terzo comma. Essa, pertanto, rappresenta solo una delle molteplici modalità con cui si sarebbe potuto procedere. Tantomeno la sua abrogazione sembrerebbe produrre un grave vuoto legislativo per l’assetto costituzionale dei poteri dello Stato; dalla Riforma del Titolo V del 2001 sono passati 23 anni e non pare che la mancata realizzazione dell’autonomia differenziata abbia causato nulla di ciò.

Ancora più improbabile la pretesa immunità all’abrogazione in quanto legge di bilancio. Di fatto non lo è in senso stretto, e neppure gli astuti collegamenti alla Finanziaria 2023 predisposti nel testo approvato potrebbero farla configurare come tale, dal momento che nello stesso articolato viene più volte ribadita l’invarianza finanziaria, nonché l’assenza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Un altro profilo risulta invece più problematico. La normativa, infatti, contiene argomenti così diversi tra loro (iter parlamentari, rapporti tra organi dello Stato, provvedimenti finanziari, istituzione di organismi di controllo, ecc.) che potrebbero indurre i giudici della Consulta a ravvisare una cosiddetta disomogeneità della stessa, tale da ledere l’effettiva espressione della libertà di voto in quanto non sia distinguibile una matrice razionalmente unitaria delle norme sottoposte alla richiesta di abrogazione. In altre parole, il cittadino-elettore potrebbe essere messo in difficoltà da un quesito che chiede l’abrogazione totale di una legge, trovandosi invece a essere favorevole per alcuni contenuti e contrario per altri.

È successo sovente nella giurisprudenza della Corte, ma questa volta il paradosso sarebbe che a determinare una tale eventualità non sarebbe tanto l’errata formulazione del quesito, quanto il fatto che è rivolto a una legge di per sé arraffazzonata e piena di incongruenze. Come dire, oltre al danno, pure la beffa!

Proprio per questo motivo autorevoli studiosi, pur contrari all’intero impianto della legge Calderoli, stanno sostenendo la necessità di affiancare alla richiesta di Referendum per l’abrogazione totale anche alcuni quesiti di abrogazione parziale, potendo questi aggredire più facilmente parti omogenee della norma con minori rischi di inammissibilità.

Qualche ragione c’è, e alcune Regioni stanno procedendo in tal senso. Mi trovo però a condividere anche le preoccupazioni di quanti ritengano che in questo modo si rischi di far passare il messaggio che la legge Calderoli sia nel suo complesso accettabile, bastando solo alcuni aggiustamenti per riportarla nell’alveo tracciato dalla Costituzione.

Comunque, se l’obiettivo comune è quello di bloccare gli effetti della norma, totali o parziali che siano, forse vale la pena schierare tutti gli strumenti utili al raggiungimento dello scopo. A cominciare dai ricorsi in via principale esperibili dalle Regioni alla Corte costituzionale, che potrebbero rivelarsi gli strumenti più efficaci nel merito, a prescindere di come andrà a finire la battaglia referendaria, che vale comunque la pena di essere combattuta.

A mettere la parola definitiva su questi dubbi verrà la sentenza della Corte costituzionale. Intanto la mobilitazione che si sta creando per la raccolta delle firme ha già ottenuto un risultato molto importante, portando finalmente all’attenzione di un numero sempre più ampio di cittadini una legge che, se attuata, comporterebbe conseguenze dirette nella vita di ognuno, potendo mettere radicalmente in discussione l’uguaglianza sostanziale finora garantita dalla nostra Costituzione per servizi fondamentali quali la sanità, l’istruzione scolastica, le politiche sociali.

E questo non per tutti nella stessa maniera, ma con effetti completamente diversi a seconda della Regione dove si risieda.


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