Con un comunicato stampa del 14 novembre 2024, la Corte costituzionale ha anticipato le decisioni assunte sulle questioni di legittimità avanzate nei confronti della legge Calderoli dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania.
In un precedente articolo su questa testata ho svolto alcune riflessioni sulle tematiche ritenute più delicate per la tenuta dell’impianto costituzionale, in particolare criticità inerenti alle materie attribuibili, ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e alla valutazione del ruolo attribuito al Parlamento.
Da quanto riportato nella nota, sembrerebbe che gran parte di esse siano state affrontate dai giudici della Consulta, anche se per avere un quadro più chiaro bisognerà attendere il deposito e la pubblicazione della sentenza, soprattutto per quelle parti dove è stata annunciata un’attività di interpretazione costituzionalmente orientata in alcune previsioni della legge.
In premessa va subito precisato che la Corte ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità
dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.
Queste sono molte e di sicuro impatto sull’impianto generale della norma. Per il momento basti conoscere il testo rilasciato dall’Ufficio Comunicazione e stampa della Corte, riservandoci osservazioni più approfondite in prossime occasioni.
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La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:
- la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla
luce del richiamato principio di sussidiarietà;
- il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
- la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
- il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
- la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
- la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
- l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:
- l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
- la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
- la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
- l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
- la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.
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Alla luce di quanto riportato, pertanto, se è vero che da un lato la Corte non ha ritenuto la legge incostituzionale nel suo complesso non si può certo negare che dall’altro ne abbia scardinato i principali aspetti-chiave, tanto da renderla inapplicabile prima che il Parlamento ne colmi i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali.
Come era prevedibile i toni dello scontro politico si stanno infiammando, e si profila per i prossimi mesi un dibattito molto interessante. Una vera e propria partita a scacchi, che seguiremo con attenzione.
Anche per comprendere il destino del Referendum abrogativo totale che, non si dimentichi, sarà necessariamente legato alle prossime mosse.