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Non si ferma la strage di pedoni sulle strade e torna attuale il tema dei 30 km/h nelle nostre città

Non si ferma la strage di pedoni sulle strade e torna attuale il tema dei 30 km/h nelle nostre città

Sembra non vedere mai fine la conta straziante dei pedoni che ogni giorno perdono la vita sulle strade della nostra provincia. Secondo un dato aggiornato alla prima metà di ottobre sarebbero circa 40 quelli censiti dall’inizio dell’anno, con una decina sui comuni metropolitani e il resto nella Capitale.

I numeri diffusi nell’ultimo rapporto dell'Asaps (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale), riferito all’annualità 2023, ci rivelano che in Italia vengono investiti mediamente 50 pedoni al giorno, due all’ora.

Negli incidenti registrati sono morte 485 persone, 314 uomini e 171 donne.

I principali luoghi dove si sono verificati gli incidenti risultano: marciapiede (29 decessi in 782 incidenti), a margine della carreggiata (25 decessi in 825 incidenti), in cantieri sulla carreggiata protetti da apposito segnale (5 decessi e 25 sinistri). Numeri record per gli investimenti sulle strisce pedonali: ben 8.276 con 175 decessi, 156 in ambito urbano e 19 in ambito extraurbano.

Da questa tragica tabella, si apprende che l’anno scorso Roma si è piazzata al primo posto con 1.959 episodi, conseguendo anche il record di vittime (55) e di feriti (2.106). La Regione Lazio al primo posto per decessi (87) e al secondo, dopo la Lombardia, per il numero di feriti (2.855).

Tutti i riscontri delle forze dell’ordine, nonché gli osservatori che si occupano del tema, individuano le cause principali degli eventi nella violazione dei limiti di velocità, nella distrazione per uso del cellulare e nell’alterazione dovuta all’assunzione di alcool o sostanze stupefacenti.

Alla luce di questi dati, torna di strettissima attualità il dibattito sulle cosiddette Zone30, ossia quegli ambiti urbani circoscritti dove le amministrazioni comunali possono decidere di limitare a 30 km/h la velocità consentita ai veicoli, con l’obiettivo principale di garantire maggiore sicurezza stradale per gli utenti più deboli.

È indubbio, infatti, che alla base di questa decisione vi sia la convinzione che numero e gravità degli incidenti possano diminuire sensibilmente se si viaggia a una velocità ridotta. E a sostegno di questa tesi vengono in aiuto numerose ricerche, che hanno monitorato notevoli miglioramenti nelle città che hanno imposto tali limiti.

Tra le tante, un recentissimo studio ha dimostrato che nelle 40 città europee che hanno adottato la misura, seguendo le linee guida Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analysis (PRISMA), si è registrata una diminuzione del 23% di incidenti stradali, del 38% di infortuni e del 37% di decessi.

La riduzione dei limiti di velocità nelle zone urbane come strumento di sicurezza stradale è sostenuta da tempo anche dall’Unione Europea, che lo ha ribadito in importanti documenti come la Dichiarazione di Stoccolma (febbraio 2020), una risoluzione approvata dal Parlamento Europeo (ottobre 2021) e più di recente in atti del Consiglio Europeo (2024).

Attualmente solo due Paesi europei hanno una normativa nazionale che stabilisce limiti di velocità predefiniti a 30 km/h per determinate tipologie di strade urbane: la Spagna, che li ha introdotti sin dal 2021, seguita poi dal Galles che dal 2023 ha previsto un limite generale di 20 mp/h per le strade residenziali. Una legislazione per facilitare l’introduzione delle Zone 30 km/h è stata recentemente approvata anche in Austria e Germania.

E come stanno le cose in Italia? Nel nostro Paese manca una normativa specifica che vada in tal senso e pertanto l’iniziativa è stata più che altro presa dai singoli comuni.

Tra i primi Olbia nel 2021 e poi Bologna, che nel 2024 ha deciso di proseguire nel progetto Città30, aumentando le strade cittadine sottoposte al limite dei 30 km/h.

Ma a incidere negativamente, come purtroppo spesso accade da noi, è la mancanza di continuità e coerenza nelle decisioni messe in atto dai diversi governi che si alternano negli anni.

Succede così che il vigente Piano Nazionale per la Sicurezza Stradale recepisce le linee guida internazionali ed europee, indicando il limite dei 30 km orari come misura chiave per ridurre gli incidenti sulle strade urbane; o ancora che negli anni passati lo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell’assegnare risorse ai comuni per la sicurezza stradale, abbia continuato a promuovere l’istituzione delle Zone30.

Però poi scoppia un putiferio non appena il Comune di Bologna, visti i buoni risultati della sperimentazione avviata negli anni precedenti, decide di proseguire nel proprio piano Città30, aumentando le strade cittadine interessate ed elevando le prime multe per i trasgressori.

Si ricorderanno gli apocalittici conflitti istituzionali tra Stato ed enti locali, conditi dalle immancabili polemiche politiche che si avvinghiano a qualsiasi opportunità minimamente divisiva.

E così in data 1° febbraio 2024 il Ministero dei trasporti ha emanato una direttiva inviata all’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) con la quale, pur non vietando l’istituzione delle Zone30, sembra indicare un’interpretazione alquanto restrittiva, riducendo i margini di movimento delle amministrazioni locali rispetto all’art. 142 del Codice della Strada (ossia, proprio quello che disciplina i limiti di velocità).

Ma come ha inciso la scelta di Bologna sulle questioni della sicurezza stradale che interessano questo articolo?

La risposta ci viene direttamente dal report realizzato dal comune emiliano per monitorare le tendenze a sei mesi dall’attuazione del progetto Città30 su alcune strade urbane: -11% incidenti totali, -12% persone ferite, -33% persone decedute, -37% incidenti gravi codice rosso.

La stessa indagine smentisce anche le polemiche montate in quei giorni sulle sanzioni, risultando che non è stato certo il solo fattore repressione ad aver determinato gli effetti positivi, considerato che le multe elevate per il superamento del limite di 30 km/h sono state appena 87, molte meno di quanto accaduto nello stesso periodo per il limite di 50 km/h (174), per non aver indossato le cinture di sicurezza (300), per l’uso del cellulare (110) o per essere passati con semaforo rosso (145).

Considerato il continuo aumento degli incidenti stradali con vittime e dei pedoni investiti sulle nostre strade, gli esiti arrivati dalle città che hanno adottato questo modello di mobilità urbana dovrebbero imporre una riflessione libera da preconcetti ideologici e maggiormente attenta a quei provvedimenti che sembrano rispondere in maniera positiva alle problematiche della sicurezza stradale.


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