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Settembre 08, 2024

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L'Italia Prima dell'Italia. Il Risorgimento

L'Italia Prima dell'Italia. Il Risorgimento

Il Risorgimento è sempre stato oggetto, e lo è tuttora, non solo di indagini storiche dotte ed approfondite, ma anche di interpretazioni e strumentalizzazioni politiche, spesso in funzione di polemiche e scontri legati alle lotte e alle contrapposizioni del momento, vedi per esempio le volgarità dei dirigenti della Lega, e di Salvini in particolare, sul tricolore e altri oltraggi del genere contro l'unità d'Italia. In realtà l'epopea risorgimentale è stata un grande momento del nostro paese, che finalmente si sveglia dal lungo torpore che ne aveva caratterizzato la storia per centinaia di anni e con atti di eroismo, con sacrifici della vita, con grandi episodi di lotta, guerre, insurrezioni, moti e rivolte, riesce a riconquistare la libertà perduta da secoli e a realizzare quell'unificazione vagheggiata da patrioti, letterati e poeti, ma mai raggiunta prima. Già nel '700 qualche isolato intellettuale cominciava a pensare in termini unitari, riflettendo per esempio sulla nostra letteratura, ma è con Napoleone, e quindi con la rivoluzione francese, che si pone il tema della liberazione e della unificazione nazionale. Nel 1796 Bonaparte scende in Italia e il 7 gennaio del '97 il tricolore diventa la bandiera ufficiale della repubblica Cispadana, creata sul modello delle analoghe esperienze d'oltralpe. È chiaro che il nostro tricolore è modellato su quello francese, con il verde al posto del blu, a significare la speranza di un prossimo riscatto nazionale. L'ideale unitario conquistò subito giovani e intellettuali e anche parte del mondo del lavoro, della borghesia e della stessa nobiltà, ma sempre ci fu un problema nel rapporto con le campagne e con i contadini, che spesso rimasero estranei, se non addirittura ostili, al moto unitario, di cui non comprendevano il senso perché nessuno affrontava il vero tema che stava loro a cuore, possedere la terra che con grande fatica lavoravano. Ma questo argomento in realtà nessuno dei grandi personaggi risorgimentali lo affrontò in modo serio, al punto che Gramsci accenna al problema del Risorgimento come rivoluzione agraria mancata, denunciando quindi la più grande delle questioni irrisolte: la terra ai contadini. Inoltre dire contadini voleva dire "questione vaticana", cioè rapporto con il mondo cattolico e con la hiesa, e anche su questo punto va detto che ufficialmente la chiesa rimase estranea, anzi prevalentemente si oppose al moto unitario. Infatti rimase aperta per anni la questione romana e il ruolo negativo di Pio IX su questo punto è indiscutibile, anche se, come spesso accade, singoli sacerdoti o comunque esponenti del clero e cattolici praticanti, come per esempi Alessandro Manzoni, si schierarono a fianco dei patrioti, anche riguardo alla esigenza di concludere tutta l'impresa risorgimentale con la liberazione Roma dal dominio di papi, per farla diventare capitale del nuovo stato.

Non tutti gli italiani dunque si schierarono automaticamente a fianco di chi combatteva per la libertà; da non pochi conservatori Garibaldi veniva considerato un bandito, mentre Mazzini morì a Pisa nel 1872 in clandestinità e sotto falso nome, perché ricercato dalla polizia sabauda, mentre il capo delle cinque giornate di Milano, Carlo Cattaneo, a sua volta repubblicano e federalista, si spense in esilio, in Svizzera, a Lugano, nel 1869, perché nonostante fosse stato eletto in parlamento si era sempre rifiutato di giurare fedeltà al re.


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Malgrado tutti questi limiti il Risorgimento è stato un grande momento in cui l'Italia finalmente, da Milano a Palermo, alza la testa e si scrolla di dosso le vecchie, decrepite e reazionarie dinastie locali per cessare di essere la "terra dei morti", come l'aveva definita il poeta francese Alphonse de Lamartine.

Il Risorgimento dunque fu un vero moto di rinascita e di risveglio della nazione che si leva di dosso il peso del dominio straniero e dell'inerzia politica e culturale. Ai moti risorgimentali dal '20/'21, fino al ''48, passando per gli anni trenta, parteciparono numerosi migliaia e migliaia di patrioti, avanguardie, certamente, che tuttavia gettarono un seme che nel '48 avrebbe dato frutti di cui tuttora possiamo essere orgogliosi. In quell'anno fatidico, in cui da marzo fino ad agosto del 1849 si combatte la prima guerra di indipendenza che vede il piccolo Piemonte guerreggiare contro l'esercito asburgico, si assiste al trionfo del volontariato, simboleggiato dalla battaglia di Curtatone e Montanara, cui, oltre giovani studenti, parteciparono anche contingenti del regno di Napoli e dello stesso stato pontificio, presto però ritiratosi. Ma il lungo '48 italiano conobbe grandi episodi di eroica resistenza contro lo straniero austriaco. Ricordo anzitutto le cinque giornate di Milano, dal 18 al 22 marzo del '48, ferocemente represse dal macellaio Radetzky;  le dieci giornate di Brescia, definita la Leonessa d’Italia, dal 23 marzo al primo aprile del '49; l'eroica difesa di Roma, condotta dai volontari di Giuseppe Garibaldi e politicamente diretta dai triumviri Mazzini, Armellini e Saffi, contro un preponderante esercito  francese e infine penso alla difesa di Venezia, capeggiata da Daniele Manin, dal 7 marzo del '48 al 22 agosto del ''49, stroncata dalla fame, dalle malattie e dagli infami bombardamenti austriaci. Nel mezzo di tutti questi eventi bisogna segnalare l'insurrezione contro i piemontesi di Genova, l'orgogliosa città che memore della sua passata grandezza e indipendenza, si solleva dal 5 all'11 aprile del 59 per rivendicare le sue libertà. Si tratta quindi di non pochi episodi, cui altri se ne potrebbero aggiungere, che vanno quindi a formare un ricco mosaico di lotte con l'intervento di decine di migliaia di uomini, ma anche di donne, come è dimostrato, per esempio, dalla difesa di Roma.

I moti risorgimentali quindi, pur con i loro limiti, furono un grande episodio della nostra storia, volto finalmente a fare l'Italia unita, per uscire dalle precedenti condizioni di sudditanza e di irrilevanza. Per questi motivi possa essere accolta la definizione "Risorgimento critico" che nel 2011, in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo dell'unità, propose Giorgio Napolitano, allora presidente della Repubblica. Con questa espressione Napolitano tendeva insieme a valorizzare l'epopea risorgimentale, senza trascurarne i limiti che non ne inficiano assolutamente l'importanza e il valore. Per tutti questi motivi è invalso ormai l'orientamento a unire Risorgimento e Resistenza, facendo della seconda il compimento del primo attraverso l'elezione a suffragio universale della Assemblea Costituente, obiettivo dei patrioti democratici dell'Ottocento, ma non raggiunto all'epoca perché prevalse l'ipotesi dell'estensione al resto d'Italia dello Statuto albertino, con il trionfo di Casa Savoia, che però non si rivelò all'altezza dei problemi gravissimi che affliggevano l'intero paese e non soltanto il Mezzogiorno. Insomma fu sconfitto il Partito d'Azione e con esso furono sconfitti Mazzini e Cattaneo. Nonostante l’impresa di Garibaldi e dei Mille infatti prevalsero i moderati, ma ciò non toglie nulla al valore di quegli anni 1860 - 1861, quando finalmente il paese si riconobbe unito e libero, e furono possibili ulteriori lotte per l'emancipazione del mondo del lavoro che, sia pur lentamente, cominciò a vedere riconosciuti i suoi diritti, fino a quando, con la fondazione del partito socialista e l'ingresso dei suoi rappresentanti in parlamento, con l'estensione del diritto di voto, l'Italia conobbe un età importanti riforme sociali durante l'età giolittiana. La Resistenza ha portato a compimento le premesse del Risorgimento, la vittoria della repubblica con il referendum del 1946 e la Costituzione del '48 sono degna conclusione del Risorgimento, con l'affermazione dell'Italia democratica, pacifista, antifascista, una e indivisibile, pur se articolata in una rete di autonomie locali, così come recita il dettato costituzionale. Oggi con l'autonomia differenziata si vorrebbe invece sfasciare il paese, riportarlo indietro di centinaia di anni, ricondurlo agli staterelli del passato, succubi dello straniero e preda del potente di turno, con l'elezione diretta di un capo del governo, che fatalmente diventerebbe una sorta di caricatura ducesca. Tutto ciò va cancellato, la Costituzione deve essere difesa così come è, accentuandone caso mai i caratteri sociali, rispettando le autonomie, ma senza tornare all'italietta arleccchinesca di prima dell'unità. Inevitabilmente il paese perderebbe di importanza nell'Unione Europea, mentre tutte le differenze già esistenti si accentuerebbero tra regione e regione, mettendo in discussione i principi di uguaglianza dei cittadini e di uniformità dei servizi sociali e dei diritti, come anche dei doveri.

L'unità del nostro paese è un bene assoluto da preservare, non solo per un principio astratto, ma per garantire diritti conquistati con il sangue dei martiri della libertà, con gli eroi del Risorgimento e della Resistenza e per mantenere e rafforzare il ruolo dell'Italia nel consesso internazionale.


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