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Settembre 16, 2024

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Albano Laziale: dissertazioni a episodi sulla città e relativi itinerari paesaggistici e storici (ep.2)

Albano Laziale: dissertazioni a episodi sulla città e relativi itinerari paesaggistici e storici (ep.2)

Carta dell'Ager Laurens

Episodio 2 – Miti, leggende ed altre curiosità sparse

Prima che altri ecodisastri, come vaticinato dagli scenziati e confermato dalle quotidiane sensazioni di ogni comune cittadino, disperso tra bombe d’acqua e mediatiche, tra calure insostenibili e dichiarazioni di maniera altrettanto insostenibili, sconvolgano luoghi e memorie, sarà forse non del tutto inutile vederci, se non chiaro, almeno con un dirado delle oscurità che, numerose, avvolgono la leggenda della fondazione di Albano, come conclusione di una leggenda-madre che attiene ad Enea nel Lazio.

In questa confluiscono Archeologia - Mito - Letteratura. E subito ci si imbatte in un altro vaticinio: Poseidone che sottrae da sicura morte Enea, sfidante a duello l’irascibile ed invincibile Achille, annuncia la distruzione di Troia e, nel contempo, la discendenza regale di Enea, che Virgilio, fin dai primi versi dell’Eneide, conferma come fondatore di Lavinio da cui avranno origine la stirpe Albana e Roma: “…hic domus Aeneae cunctus dominabitur oris / et nati natorum et qui nascetur ab illis…” (Eneide III - 97-98).

medaglione enea

Nel suo viaggio verso occidente, senza, per nostra fortuna di posteri e discendenti, incontrarsi/scontrarsi con Ulisse che, grosso modo, dovette navigare sulle stesse rotte, Enea conserva i Penati e la memoria di Troia e prende consapevolezza del destino che gli è riservato. Assai sinteticamente detto con tutti i vizi, le lacune e le arbitrarie esclusioni in materia, si è raccolta in poche righe la lunga e spesso misteriosa strada percorsa dalla leggenda di Enea nel Lazio che appare, per la prima volta, in Stesicoro, di cui si ha un ricordo inciso sulla “Tabula Iliaca” conservata nel Museo Capitolino, in Roma.

Altre testimonianze della leggenda si evidenziano nella penisola calcidica, nella Città di Ainea che conservava una moneta incisa raffigurante Enea che fugge da Troia;  il collegamento di Enea con il Lazio è attestato dagli storici greci Ellanico di Lesbo e Damaste di Segeo che, addirittura, derivano il nome di Roma da Rome, la donna-eroina che, con altre troiane, incendia le navi greche; un altro storico greco, Timeo, conferma l’esistenza di Lavinio; una discreta schiera di scrittori latini si rifà alla discendenza troiana di Roma: Nevio, Fabio Pittore, Ennio, Catone, Varrone; alcune importanti famiglie romane si autoricollegano alla discendenza albana: da Giulio Cesare ad Augusto che si autopromuove alla progenitura divina di Enea, figlio di Venere.

Il tutto, ovviamente, al servizio di una propaganda politica ed ideologica che vuole collegare Roma alla Koiné greca. Per dire conclusivamente, che le varie motivazioni della leggenda di Enea nel Lazio, la fondazione di Alba e gli eventi successivi, sono un problema complesso, né definito, né risolto, che potrebbe perfino nascondere una “realtà” storica di diverso aspetto: dagli insediamenti dell’età del bronzo, ad alcuni antichissimi manufatti laziali che indicano e rimandano a modelli cretesi, alle tracce linguistiche micenee riscontrabili nella lingua latina. Non bastasse il problema suddetto, ecco proporsi la questione della localizzazione di Albano: del perché laziale si dirà in appresso, del perché Albano, subito, non appena tolto di mezzo, a scanso di equivoci regionali e di errori o dubbi ulteriori, omonime località: Albano Vercellese, Albano Bergamasco, Albano Lucano, Albano del Piave, nonché ad abuntandiam, Alba Adriatica, Alba Cuneense, e quante altre fossero sfuggite ai compilatori dei prefissi telefonici.

Che la nostra Alba derivasse il nome dal colore della scrofa e relativi 30 porcellini che l’indovino Eleno annunciò ad Enea e ne legasse il luogo di fondazione all’incontro con questa o dal vocabolo “alpum”, che secondo Festo significava, nell’antica lingua sabina “alto e bianco”, scegliete voi.

Quanto al fatto che Alba fosse anche longa, ci informano della sua forma allungata Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Aurelio Vittore e Varrone.

medaglione lavinium

Per comodità ripetitiva i più la collocano sui crinali del Lago di Albano, con tanto di frecce indicative, tra il convento dei Cappuccini ed oltre la località Selvotta; altri ricercatori indicano i vasti “Pratoni del Vivaro”, nel luogo ove era il bacino del Lago Regillo; altri ancora dalle scoperte affioranti entro ed attorno al Convento di Santa Maria ad Nives di Palazzolo. Trovare una soluzione è certamente importante, ma non per il grande pubblico che, comunque, al nome di Albalonga pensa, illice et immediate, ai Colli Albani, senza perdersi in troppe distrazioni topografico/storico/leggendarie che possono distrarlo dalla gita domenicale naturalistico/ecologico/culturale (talvolta), culinaria (quasi sempre). Per quanto attiene l’agro Albano, il Torquati così ne espone i confini territoriali: “…niuno può ignorare per poco c’abbia confidenza con gli scrittori delle cose romane che l’agro albano dai lati levante e tramontana confinava con il Tuscolo e cotanto vicino a codesta città che la valle che separava i colli tuscolani dai Monti Algidi si appellava albana. Dai lati di mezzogiorno e di ponente aveva per confine i territori di Ariccia e Boville, che ne segnavano l’estremo limite”.  

A completare resta, infine, l’aggettivo “laziale”, il quale non definisce, per fortuna o purtroppo, a seconda delle passioni curvarole una fede biancoceleste, ma un riferimento mitologico: quando Saturno fuggì dalle attenzioni pericolose di Giove, qui si rifugiò e qui si nascose (appunto: lateo = nascondersi) dando nome ed identità alla terra che fu detta Lazio, per poi palesarsi in forma di Kronos, il dio del tempo che divora se stesso. Giove, al contrario, si fece subito intendere, tanto per far comprendere agli uomini chi era il nuovo padrone: voci spaventose risuonarono dagli uteri della terra, e dalla profondità del fuoco sconosciuto cadde una pioggia di sassi, avvampanti (in Albano monte bidum continenter lapidibus pluit).

La salubrità del luogo, situato a costa, a medio, in alto, è stato, per i romani, antichi e più recenti, una attrazione paesaggistica-tranquillante, non esclusi i neuropatici gogoliani, e, per i moderni, anche turistico alberghiera. Qualcuno ci ha mescolato l’attrazione storico-poetica-artistica comune, del resto, a tutto il territorio castellano, con il valore aggiunto, per Albano, dell’ospitalità senza le spocchie esclusiviste del campanilismo, vizio nazionale. Ne è prova, complice il già citato “valico”, il grande transito, o più elegantemente, il “Gran Tour”, sviluppatosi sulle orme di Goethe, con putiferio di pittori, scrittori, poeti, nazionali e non, che ci hanno rappresentato in pennello, in prosa, in versi.

elvira natalia

A voler pignoleggiare la “pianura” verso il mare restò fuori dalle sopradescritte forze attrattive, ma in via temporanea ed in attesa della civiltà turistico-motorizzata che oggi la predilige, forse per colpa anche di una falsa equazione pianura = monotonia, non rintracciabile nel dizionario dei sinonimi, e neppure in quello dei contrari, ma quasi sempre inclusa nelle banalità degli uffici ed agenzie turistiche. E senza sottacere le marachelle erotico-sentimentali della “belle epoque”, le ipocrisie anglovittoriane con relative estasi letterarie Stendhaliane, fino alla dannunziana Barbara Leoni al secolo Elvira Natalia Fraternali cui non dispiacevano i salotti urbani e le sere sui colli d’Alba.


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