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Li giochi e li passatempi de li regazzini de tanti anni fa

Li giochi e li passatempi de li regazzini de tanti anni fa

Proseguiamo  la pubblicazione della ricerca sulle tradizioni popolari romane. Ecco altri 15 giochi fanciulleschi raccolti da Giggi Zanazzo.

16. PIEDE CALLO.

Fatta la conta come nei precedenti giuochi, colui che è sorteggiato, va a nascondere la faccia in grembo alla mamma, la quale gli benda gli occhi con le mani in modo che nulla possa vedere. Il paziente, stando così curvo, deve tenere il piede destro levato, il quale piede sarà sostenuto dal giocatore che immediatamente lo segue e di cui il piede levato sarà sostenuto dal terzo compagno, e così via via: in modo che tutti i componenti il giuoco formino come una catena. A colui al quale la mamma fa cenno di avvicinarsi e picchiare il paziente, gli dice:

«Piede piede callo,
Dà la bbotta ar tu’ compagno;
Fugge fugge più cche ppôí
E annisconnete andò’ vói».

Infatti egli picchiato che ha, fugge e con lui tutti gli altri compagni coi quali si va a nascondere. Allora il paziente si alza, e se riesce a scovare e indovinare colui che lo ha colpito, questo prende il suo posto per ricominciare il giuoco daccapo.

17. È ARRIVATA ’NA BBARCA CARICA DE…

Il giuoco consiste nel nominare, invitati che si è a rispondere, un oggetto qualunque che cominci con la lettera C o D o A, lettera che deve stabilire la conta o la mamma che sia. La quale, rivolgendosi a uno dei giocatori, dice: È arivata una barca carica de…e  l’interrogato deve immediatamente soggiungere, se,

p. es., la lettera stabilita è il C, Cerase, e proseguire: — É arivata una barca carica de…
lasciando che compia la proposizione un terzo con un’altra voce, p. es.: cocommeri, cetroli, castagne, carciofoli, ecc. ecc. Colui il quale non ha pronta una voce nuova, e non detta da nessuno, la quale sia principiante per la lettera stabilita dalla conta, paga un pegno.

18. A CCAVALLUCCIO.

Passatempo dei fanciullini, i quali prendono un manico di scopa, un bastone qualunque, e mettendoselo fra le gambe, camminano sopra di esso, fingendo di andare a cavallo.



19. GIRA, GGIRA LA CIAVATTA.
Dopo fatta la conta, tutti i giuocatori, la maggior parte donne, siedono disponendosi in fila o in circolo. Il capo-giuoco prende allora una ciavatta (scarpa vecchia e logora) e la passa nascostamente al giocatore vicino, il quale la passa a sua volta al terzo, al quarto, al quinto per poi ritornarla di nuovo indietro e così di seguito; sempre però cercando nasconderla agli occhi del giocatore, il quale è stato dalla conta designato a scoprire il possessore della ciavatta. Mentre la ciavatta vien trafugata, i giocatori ripetono:

«Ggira gira la ciavatta,
E la ciavatta ggira
E llàssela ggirà’».

Il comico del giuoco sta in questo, che mentre la conta cerca la ciavatta presso un giocatore che suppone la tenga nascosta, se la sente sul meglio picchiare sulla schiena, fra le risate di tutti i suoi compagni. Il giocatore scoperto possessore della ciavatta, prende il posto della conta, e il giuoco seguita quindi a piacimento dei componenti il medesimo.



20. “ER PERCHÉ,,.
Parecchi ragazzi e ragazze siedono; e la mamma va in giro facendo delle domande ad ognuno di essi, come p. es.:
MAMMA. È vvero che oggi è una bbella giornata?
R. Bellissima.
MAMMA. E perchè bbellissima?
R. Sfido co’ ’sto bber sole!
MAMMA. E perchè c’è ’sto bber sole?
R. Annatejelo a ddomannà.
MAMMA. E pperché: annatejelo a ddomannà.
R. Si nu’ lo sa lui, come volete che lo sappi io? ecc.
E così l’una insiste coi pèrché, e l’altra se ne schermisce per il semplice motivo che se essa pronuncia la parola perchè, o non risponde prontamente, o non adduce ragioni sempre diverse, è obbligata a pagare il pegno. Quando la mamma vede che non può trarre in fallo un giocatore, passa avanti e fa lo stesso con un altro, anche, se lo crede, cambiando dialogo.



21. A FFICHÉTTO.
Scherzo che si fa ad altri prendendogli il mento fra il pollice e il medio, e premendogli intanto le labbra con l’indice.



22. AR “CAMPANELLO„.
Si fa la conta. Colui cui torna il conto deve ritirarsi in una camera vicina. Allora il capo-giuoco con gli altri giocatori combinano uno scherzo, o un servizio che la conta, allorchè sarà invitato nella camera de’ suoi compagni, dovrà fare a uno o a più di essi. Per esempio. Egli dovrà prendere due soldi dalla tasca del compagno A e andarli a deporre in quella del compagno C. Ciò stabilito, il capo-giuoco invita la conta a presentarsi. E mentre questi s’ingegna d’indovinare, la cosa che deve eseguire è costantemente seguìta dal suono di un campanello o da altro suono che il capo-giuoco farà ora piano ora forte, a seconda che la conta si allontana o si avvicina alla persona o all’oggetto che deve prendere. Se vi si avvicina allora il campanello rallenta il suono, se si allontana il suono raddoppia. Se alla conta non riesce a indovinare, essa paga allora il pegno. Quindi passa il diritto al secondo, al terzo, al quarto giocatore e così via via.



23. ER CUCUZZARO O ER COCOMMERARO.
Uno fa da venditore di cocuzze o di cocommeri, i quali sono rappresentati da un certo numero di giocatori. Viene un compratore e cerca d’una buona zucca a prova. Egli stringe tra le due mani, uno dopo l’altro, il capo dei giocatori; e quella cocuzza che gli pare buona da comperare, pattuisce. Venditore e compratore litigano; e ci va naturalmente di mezzo la cocuzza, rappresentata dalla testa del povero giocatore preferito, che si busca scosse in quantità e parecchi scapaccioni.



24. LADRI E SBIRRI.
I giocatori si dividono in due squadre, una di ladri, un’altra di birri. I ladri, i quali devono superare di uno il numero dei birri, vanno a nascondersi di qua e di là. Il loro capo a un certo punto grida: Vado dar fornaro, compro er pane; dar pizzicarolo, compro salame e presciutti: libbertà per tutti, e corre a nascondersi cogli altri. I birri si mettono in cerca di loro per catturarli. Nel vedersi scoperti, i ladri si dànno a precipitosa fuga; e i birri dietro. Allorchè un ladro è fatto prigioniero, si ferma con le braccia stese; un birro, a cinque passi di distanza, lo sorveglia. Se un altro ladro, nel passargli vicino, riesce a toccarlo, il prigioniero s’intende liberato. Se i ladri vengono raggiunti tutti prima di toccar la tana diventano birri essi, e i birri ladri. Allora il giuoco ricomincia. Questo giuoco ha molti punti identici alla Guerra francese.



25. MMORÈ-MMORÈ.
Il giocatore designato dalla conta prende in mano la mazzarócca, la quale è un fazzoletto contorto e poi raddoppiato e annodato da una parte, nella quale alcune volte vi si nasconde un sassetto. La mamma o la conta tira in alto la mazzarócca; allora tutte le mani dei giocatori si protendono per pigliarla prima che essa cada in terra. Chi la piglia è il primo e si sceglie il secondo; il secondo si sceglie il terzo; questo il quarto, e così via via. L’ultimo di essi, non appena designato per tale, deve subito dire la parola: Sciacquabbicchieri. Se non la dice, si busca, seduta stante, una buona dose di mazzaroccate. La mamma siede tenendo in mano l’estremità grossa della mazzarócca, e con le parole e le mani descrive un oggetto ben noto che il primo giocatore deve indovinare alla presenza dei compagni. Dice per esempio: Ció un arbero nun tanto arto che mme fa ccerte fojette verde piccole piccole; e quann’è pprimavera, me fa certi mazzetti de frutti piccoli piccoli…, e nel dire così dà l’estremità sottile della mazzarócca al primo. Gli altri stanno tutti dietro a lui, pronti a svignarsela. Se il primo non indovina subito, allora chiede maggiori schiarimenti. Per esempio:
— So’ rossi?
— Sì.
— Se màgneno?
— Sì.
— Allora so’ ccerase?
Se indovina, la mamma grida: Mena mena! E i giocatori a fuggire e a nascondersi per non farsi raggiungere e picchiare, senza diritto di poter reagire. La corsa dura fino a che la mamma a suo piacere non grida: Morè mmorè! Allora i giocatori si affrettano a tornare dalla mamma, dicendo per non essere battuti: Pane, cacio e vvino dórce. La mamma, quando li ha tutti attorno a sè, finge di raccontare una storiella: Una vorta c’era un frate che cciaveva una moje che j’aveva fatto dodici fiji. Er Papa, saputo ’sto scànnelo, s’arabbió e diede ordine a la madre che cacciasse tutti li fiji der frate via da casa. Allora la mamma, tutta arabbiata, strilló: «Nun so’ ppiù ffiji mia!». A queste parole, che sono il segnale di nuove busse, i giocatori fuggono e vanno ad appiattarsi di bel nuovo, inseguiti dal primo che li picchia dove coglie coglie. Insomma è il giuoco che ricomincia da capo. Se il primo non indovinasse, la mamma passa la mazzarócca al secondo, al terzo, al quarto, ecc. ecc. Il Belli così lo descrive: «Per consenso spontaneo de’ giocatori, ovvero facendo a la conta, cioè al tocco, si elegge la mamma o mammaccia, che deve dirigere il giuoco, e che lo comincia col fare un nodo a un fazzoletto e col gettarlo in aria. Gli altri tutti a gara per riacchiapparlo; e poi quello a cui è riuscito, messosi coi compagni in circolo intorno alla mamma, dà a tenere a lei la cocca (er pizzo) col nodo, tenendo lui quella opposta. Allora la mamma gli propone un indovinello; e se egli non riesce a spiegarlo, deve passare la cocca al vicino di destra, a cui la mamma ripropone il medesimo o altro indovinello e così di seguito. Ma se lo spiega lui o un altro, la mamma lascia subito la cocca annodata gridando: Mena mena! e il fortunato spiegatore ha il diritto di rincorrere i compagni e di picchiarli con quella, finchè la mamma non gridi moré moré, il qual grido io credo derivi dal latino Mora est. Raccogliendosi, salvi dai colpi, intorno alla mamma, i dispersi giocatori le vanno chiedendo con una specie di cantilena: Pane, cacio e vino dórce! E se la mamma grida: Nun so’ ppiù fji mia!, il giuoco ricomincia».



26. QUATTRO CANTONI.
I giocatori si pongono ciascuno ad uno spigolo di muro, o ad un cantone o altro. Quello cui è andata la conta si pianta nel mezzo. I giocatori di corsa, si cambiano l’un l’altro il posto che, chi è nel mezzo, corre ad occupare. Se egli vi riesce, il giocatore rimasto privo di asilo va nel mezzo, ed il giuoco prosegue.



27. ATTACCA-FERRO.
Si fa la conta. Il sorteggiato si pianta nel mezzo de’ suoi compagni, pronto ad afferrare il primo di essi che non tocchi ferro. Per esempio: una serratura, una spranga, una chiave, ecc.; e fa di tutto per poter riuscire nel suo intento; quindi adopra l’astuzia, l’agilità, tutto, per insidiare un compagno a spostarlo dal ferro, ed occupare il suo posto, o ad acchiapparlo. Chi tocca il ferro dice che sta ar sagro, perchè non può esser preso, come non poteva esser preso dalla forza pubblica chi si ricoverava in luogo sacro. Chi viene preso o perde il posto, passa nel mezzo, e il giuoco seguita.



28. LA SCÒLA.
Uno dei fanciulli che giuoca si finge maestro; gli altri compagni si fingono scolari, rifacendo più o meno bene tutto ciò che alla scuola si usa di fare.



29. LI COLORI.
Dei quattro giocatori più grandi, uno fa da capo-giuoco, un altro da Madonna, il terzo da Angelo e il quarto da Diavolo. Il capo-giuoco dà a ciascuno degli altri giocatori, in segreto, il nome di un colore: verde, rosso, turchino, giallo, avana, ecc.
Viene la Madonna.
— Bussa bussa.
Il capo-giuoco le domanda
— Chi è?
— Vojo un colore.
— Che ccolore?
(Per esempio) — Turchino.
Il giocatore che ha il nome di tal colore si presenta, e la Madonna se lo conduce in Paradiso. Se però il colore richiesto manca, allora il richiedente (la Madonna, o l’Angelo o il Diavolo) se ne ritorna con le mani vuote. Si presenta, p. e., l’Angelo, chiede un altro colore, che, trovatolo se lo conduce con sè. Terzo viene il Diavolo, e si conduce seco colui che rappresenta il colore richiesto. Il giuoco segue così fino alla fine; e la difficoltà sta nel trovare, tra i componenti di esso, i colori desiderati dalla Madonna, dall’Angelo e dal Diavolo, e che difficilmente si trovan tutti tra coloro che giuocano. Finito il giuoco, i giocatori che stanno in paradiso deridono i compagni che sono condannati all’inferno, loro dicendo: Tappo de cacatore, o altre parole di scherno.



30. PIS’E PPISÈLLO.
Più bambini si mettono a sedere in fila con le gambe stese ed i piedi pari, mentre uno di loro, il capo-giuoco, resta diritto con una bacchetta in mano, o anche senza la bacchetta, e recita la seguente filastrocca, toccando successivamente, con la bacchetta o con l’indice della mano destra, a ogni accento del verso o un po’ a capriccio, un piede de’ suoi compagni, e nell’ultimo verso un piede ogni parola:
«Pis’ e ppisèllo,
Colore così bbèllo,
Colore così ffino
Del santo Martino.
La bbella Pulinara
Che ssale su la scala;
La scala del pavone;
La penna del piccione.
Bbella zitèlla,
Che ggiôchi a ppiastrèlla
Cor fijo de’ re,
Tira su questo piede
Che ttocca a tte!»
Il bambino toccato nel piede all’ultima parola deve ritirarlo; e si ritorna da capo; finchè colui che resta ultimo e solo con un piede in fuori, viene ironicamente applaudito con battimani od anche fischiato, e gli si cantano in coro queste parole:
— Tappo de cacatore, tappo de cacatore!
Qualche volta invece, specialmente tra bambini di civil condizione, quello il cui piede è toccato all’ultima parola, si alza cedendo il posto al maestro o capo-giuoco, e prende lui la bacchetta per rifare il giuoco.


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