Intervista a Massimo Grossi – responsabile del progetto Mercato della Terra di Slow food Frascati e Terre Tuscolane e responsabile per lo stesso progetto per Slow Food Lazio.
Massimo Grossi, oste frascatano da tre generazioni, per più di 25 anni ha gestito un’osteria a Frascati, attualmente è il responsabile del progetto “Mercati della Terra” per Slow Food Frascati e Terre Tuscolane e per Slow Food Lazio.
Ci può raccontare la vendemmia ai Castelli Romani?
La vendemmia era un vero e proprio rito che si faceva da fine settembre a fine ottobre.
Ai Castelli Romani, parlo in particolare di Frascati ma anche dei paesi vicini come Monte Porzio o Montecompatri, dalla fine degli anni Cinquanta fino agli Novanta, il vino rappresentava il motore trainante dell’economia della città, c’erano numerose osterie e la ricchezza economica era costituita dal settore vitivinicolo.
La vendemmia, quindi, era un momento fondamentale alla quale sono legati tradizioni e rituali.
Si cominciava dalla preparazione della vendemmia: si preparavano le botti, venivano tirate fuori dal cosiddetto tinello, si bagnavano quotidianamente con l’acqua per far riprendere il legno, poi i primi di ottobre fino alla prima settimana di novembre si cominciava a vendemmiare in base alle tipologie di uve che si dovevano utilizzare (non dimentichiamo che il vino Frascati è un blend di 4 o 5 uve) e che maturavano in momenti diversi; venivano fatte “tre o quattro passate di vendemmia” fino ad arrivare alle uve più mature con cui si produceva il famoso cannellino, frutto di una vendemmia tardiva, delle ultime uve quelle più mature.
La vendemmia inoltre era un momento conviviale, ogni proprietario, azienda, osteria o tinello che produceva il vino, a fine vendemmia faceva un pranzo chiamato “la cortesia” con le donne e gli uomini che avevano partecipato per ringraziare tutti coloro che avevano lavorato in quell’anno con lui.
A Frascati pochissime osterie avevano il casale in campagna, avevano piuttosto la vigna nella zona più periferica del paese e poi al centro del paese avevano tutti il tinello e l’osteria dove producevano e vendevano il vino. La vendemmia quindi era anche un trasportare l’uva dalla vigna al paese (prima della Guerra c’erano i somari che trasportavano due bigonci per volta) e ognuno poi si recava al tinello di proprietà e lì faceva il vino.
La raccolta dell’uva veniva fatta con i classici bigonci di legno, oggi sostituiti da quelli di plastica, che venivano riempiti. Dopodiché si portava l’uva nel tinello, questa veniva vendemmiata, macinata e messa nelle botti, in alcuni casi anche con i raspi (ma in questo caso stiamo parlando di una vendemmia diversa, oggi abbiamo una vinificazione molto più moderna e sicuramente anche migliore sotto certi aspetti, la scienza ci ha aiutato in questa evoluzione eliminando i “difetti” del passato).
Dopodiché il vino veniva messo nelle botti di legno e dopo circa una settimana di ebollizione veniva separato il mosto dalle bucce e dai raspi dell’uva, infine si svinava e si realizzava il primo vino. Dopo circa 15 giorni si cambiava botte per evitare che il vino si depositasse e in modo tale che, al cominciare del nuovo anno, le osterie aprissero avendo a disposizione il vino nuovo.
Il vino veniva chiarificato con l’albume dell’uovo, oggi abbiamo la gelatina o altri sistemi più moderni oppure viene microfiltrato, però all’epoca veniva filtrato a mano con dei filtri a sacco e ci si regolava ad occhio per la limpidezza.
Le osterie poi si aprivano a rotazione: una volta finito il vino questa chiudeva. È bene specificare che nelle osterie si vendeva solo ed esclusivamente il vino, il cibo si portava da fuori, infatti c’erano i famosi chioschi dove si andava a comprare la porchetta, il prosciutto, i salamini, le coppiette, le salsicce essiccate, oppure passavano dei venditori ambulanti con noccioline, olive dolci o coppiette.
L’osteria era il ritrovo di una volta, dove ci sia andava finito il lavoro in campagna. Un luogo intorno al quale ruotava la socialità, l’incontro con gli amici, in cui il passatempo era una partita a carte: un punto di ritrovo sia per gli uomini che per le donne in cui si portavano i cibi preparati in casa come lasagne, trippa o fagioli in umido, ci si riuniva e si mangiava insieme. È un luogo legato alla convivialità, l’oste stesso è una figura molto conviviale.
Ci sono degli aneddoti o tradizioni che si legano al momento della vendemmia?
Nel lavoro in campagna c’è sempre la parte conviviale e gastronomica. Le giornate iniziavano alle 6:30, si faceva la raccolta e durante quelle ore si cantava tra i filari e capitava che tra un vigneto e l’altro si rispondeva ai cori una strofa per volta. Alle 9:30 si faceva colazione e si mangiava la pizza con la ricotta o pizza e mortadella, il vino non poteva mancare. L’aspetto più tradizionale e culturale era questo momento: si lavorava in allegria, tutto rimandava alla convivialità che si creava che alleggeriva il lavoro. I tempi di vita stessi erano molto più “slow”, rimanendo in tema, io stesso sono legato tutt’ora a quegli anni in cui i tempi erano molto più lenti.
Che cosa si fa oggi per non far scomparire questa tradizione?
Purtroppo le osterie o i tinelli classici sono praticamente scomparsi ad eccezione di qualche realtà che continua a vendere il vino proprio. La speranza è che, quelle quattro o cinque osterie di Frascati, ma anche degli altri paesi perché la situazione è più o meno la stessa per l’area tuscolana, i figli e quindi le nuove generazioni continuino questa attività mantenendola inalterata. Non c’è più il rito delle botti di legno però la vendemmia in campagna si fa come una volta. Si possono trovare ancora dei casali nelle campagne, in cui le famiglie producono il vino per conto proprio e quindi si può trovare ancora qualche botte di vino, i bigonci di legno o altre attrezzature antiche.
Cosa fa l’associazione slow food oggi per promuovere l’enogastronomia locale?
Per quanto riguarda la promozione noi abbiamo la guida Osterie d’Italia in cui ci sono i ristoranti e osterie selezionati da una commissione di esperti in base a criteri e disciplinari cui devono rispondere le realtà che vengono segnalate. Osterie d’Italia, insieme a Slow Wine e guida agli Extravergini d’Italia, è una delle guide più importanti della nostra associazione.
Come condotta del territorio noi cerchiamo di mantenere e di scoprire forni, produttori locali, ortofrutta, pastori, apicoltori, ovvero realtà che si attengano ad un disciplinare che rispetti il nostro progetto “Mercato della Terra”. Siamo l’unica condotta in Italia che è presente sul territorio con 3 mercati settimanali, è un lavoro importante per mantenere tutto ciò che è legato alla cultura del cibo e all’enogastronomia. Il progetto ci impegna molto perché tratta tutti i temi a noi cari per mantenere le tradizioni: parliamo di biodiversità, di ambiente, di benessere animale, di spreco alimentare, dell’acqua in quanto bene comune, tutte tematiche che ritroviamo poi al mercato attraverso i nostri produttori locali e di cui discutiamo. La valorizzazione enogastronomica è importante anche per il settore turistico: Frascati è una città per cui il turismo è un aspetto fondamentale e cerchiamo di promuovere il territorio anche partecipando a fiere enogastronomiche di alta qualità, ad esempio tra poco con la Regione Lazio saremo a Terra Madre – Salone del Gusto a Torino a rappresentare il territorio.